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RICORDI DI UNA VITA

Ricordi di una Vita

Racconti di Cese Amedeo raccolti dal figlio Nicolino

Nelle foto sopra: Pasqualino di Carlo, Cese Amedeo e Coletta Flaminio.

Avevo solo due anni quando persi la mamma, e fino all’età di dodici restai a Schiavi D’Abruzzo (Contrada Valli). Al mattino andavo a scuola ma un po’ per la voglia che mancava un po’ per la cattiva alimentazione il profitto era alquanto scarso, il pomeriggio invece bisognava andare in campagna a lavorare, si trattava di sarchiare le patate, mietere il grano accudire gli animali. A dodici anni mi trasferii a Roio chiamato da

mio fratello Amerigo che mi aveva preceduto già da qualche anno; presi servizio presso la famiglia di Di Carlo Pasqualino e zà Rosetta.

L’abitazione di Pasqualino era sotto quella di Nicola Colafrusciut, fui alloggiato nella casa di fronte (quella attuale di Ornella Ara Ara) lo stipendio mensile era di Lire 100 oltre il vitto e l’alloggio, somma che alla fine del mese Pasqualino mi versava su un libretto postale. Durante il giorno bisognava accudire le pecore portandole al pascolo e provvedere ad altre mansioni tipo il taglio e la raccolta del foraggio. Il pranzo in genere era preparato da zà Rosetta e consisteva di solito in pane con companatico di formaggio o salsicce, a volte una frittata. La sera invece la cena era più sostanziosa, tagliariell e fasciuol, pasta e fasciuol, pasta e patate, di carne neanche l’ombra. Durante l’inverno dopo la cena spesso per arrotondare lo stipendio s’impagliavano le sedie, mentre nel periodo estivo bisognava condurre i cavalli al pascolo, durante la notte ci si addormentava per terra sulle pelli ( di pecora o mucca ) fino al mattino. Nel mese di maggio le pecore venivano condotte a “lu Pulaj” dove veniva fatto loro il bagno (le pecore venivano condotte dentro un “chiatron “ d’acqua dove per essere sicuri che la lana fosse pulita venivano fatte immergere per tre volte, bastava buttarne una che le altre la seguivano. Tre giorni dopo quando la lana era asciutta, venivano tosate e la lana ricavata veniva messa nei sacchi per poi essere venduta a Castiglione o ad Agnone quando c’era la fiera. Le pecore iniziavano a partorire durante il mese di aprile e gli agnelli maschi venivano venduti verso fine maggio le femmine invece, che dovevano essere allevate, venivano prima separate dalle mamme e poi condotte al pascolo. Le mamme potevano a questo punto essere munte per farne il formaggio (da giugno a settembre). Il 10 di novembre, i montoni venivano portati tra le pecore dopo, le pecore vecchie venivano vendute e sostituite con le giovani. Durante l’autunno, dal mese di ottobre, le pecore gravide restavano a Roio dentro le stalle dove avrebbero poi partorito mentre quelle sterili ed i montoni venivano trasferite alle vigne, durante il giorno venivano pascolate mentre la notte venivano rimesse dentro le casette (piccole abitazioni in pietra che in quel periodo erano state edificate in quasi tutti i poderi ), qui’ anche noi dormivamo su giacigli fatti di bastoni e canne. Durante la notte si andava nelle vigne dei possidenti di Villa S. Maria per prendere qualche grappolo d’uva per alleviare la fame, raramente arrivava da Roio qualche pagnotta di pane. Al mattino presto quando era ancora buio ci si trasferiva dalle vigne alla favugliett (località sulla montagna, sopra la grotta dei briganti) ed alla sera si faceva il percorso inverso. Quando la guerra era quasi al termine, i tedeschi distrussero quasi tutto, a Roio, mettevano bombe in case alterne cosi’ da distruggerle tutte, ricordo il giorno della distruzione, mi trovavo alla grotta dei briganti, era una giornata bellissima quando insieme a Flaminio assistemmo alla distruzione di quasi tutte le case di Roio. Dopo non potendo più restare a Roio per la situazione che si era venuta a creare io ed Amerigo ci trasferimmo alle Puglie ( a San Severo) dove restammo per sei mesi e questo per due anni consecutivi 1944 – 45, qui affittavamo una cascina per pascolare le pecore. Mentre andavamo incontrammo Liberato (il padre di Peppe ) che, non sapendo cosa fare si aggregò con noi, si occupò arrivati a destinazione di accudire i due buoi di Pasqualino, ricordo che durante il giorno tale era il caldo che Liberato si toglieva le scarpe e le infilava sulle corna dei buoi, la sera per raccimolare qualcosa da mangiare, Americo e Liberato andavano con accetta e sacco nei campi di finocchi , dopo i finocchi si passava alle fave, Liberato strisciava pancia in giu sui campi per non farsi vedere, questo per un mese; l’anno dopo ritornai con Amerigo e Domenico Cupplitt, la situazione era notevolvente migliorata, trovavamo facilmente cibo per mangiare. Dopo i primi anni in cui pascolavamo le pecore di proprietà di Pasqualino, io e Amerigo incominciammo a crearci un nostro gregge, successivamente Pasqualino uscì da questa attività mentre noi continuammo in proprio Nel 1944 Filippo (il figlio di Pasqualino) propose a me e Amerigo di fare una società per la conduzione di 2000 capi di pecore, Filippo avrebbe comprato le pecore e noi avremmo messo il lavoro, il ricavato sarebbe stato diviso in parti uguali, purtroppo non se ne fece niente perché non fu possibile trovare il terreno per i capannoni. Nel 1947 –48 con un po ri risparmi accumulati ed un contributo dello stato riuscii ad acquistare un locale distrutto durante la guerra di proprietà di Adele Vigilante, e cominciai a ricostruirlo, successivamente comprai un altro locale alla fundicella anch’esso distrutto durante la guerra e ne feci una seconda abitazione.

Cese Amedeo 

Racconti

Il padre di Cocciarusc ( Miccaiell )

Parlando in piazza con alcuni amici faceva capire che alle vigne aveva dei meloni quasi giunti a maturazione cosi’ gradi ma cosi’ grandi che potevano pesare 10 Kg. Amedeo, Giovanni (lu puchrar), Amerigo ed Elvio che ascoltavano, decisero che durante la notte sarebbero andati alla vigna di Miccaiel per prenderli, e cosi’ fecero. Era notte quando presero i meloni per portarli a Roio, ma quando le prime luci dell’alba illuminarono i cocomeri , videro che si trattava solo di cocuzze, si accorsero così di essere stati presi in giro.

Mariannina Lemme

Alle vigne aveva un campo di fave tenere. il solito gruppo d’amici decise quindi di andarci, Elvio disse agli altri di portare una sacchetta, giunti sul campo tutti incominciarono a cogliere, il sacco venne riempito ed Elvio che fin li aveva solo mangiato fu costretto dagli altri a caricarselo sulle spalle per portarlo a Roio, dopo qualche metro però aveva voglia ancora di mangiare, ed anche gli altri a questo punto incominciarono ad aiutarlo… morale a Roio il sacco arrivò vuoto.

La C’ rasc (il ciliegio) di Tarquinio

Per la via di Monteferrante Tarquinio aveva un ciliegio, i cui frutti da lontano sembravano cosi grandi ed invitanti da dover essere presi, venne organizzata quindi per la sera una mangiata. Erano presenti Amedeo, Tonino (Colafrisciut), Antonio di Clementina, Elvio Tubbiell e Amerigo. Amedeo in segreto disse a Tonino, mentre noi andiamo al ciliegio tu vai a casa mia e prendi un lenzuolo, tra dieci minuti vieni sotto il ciliegio e comincia a girarci intorno. Erano tutti sulla pianta a mangiar ciliegie quando Tonino arrivò e incominciò a girare intorno alla pianta. Gli altri che non sapevano niente presero un tale spavento da far tremare la pianta per la paura.

Zà Rosetta

Nei periodi estivi, si viveva in campagna, allogiavamo alla casetta di Midio di Agnone e, una volta al giorno Flaminio si occupava di portarci gli alimenti. Un giorno io e Pasqualino eravamo alla valmara a pascolare le pecore quando arrivò Flaminio, nella sua bisaccia aveva una pizza Ndrmapp, Flaminio vista la pizza che non gli piaceva ed era oltretutto dura disse che non l’avrebbe mangiata, noi provammo a mangiarne un pezzo ma Flaminio non ne volle sapere e decise così di riportarla indietro e la ripose in una delle due sacche della bisaccia. Il giorno dopo Zà Rosetta vista che una sacca della bisaccia era piena, riempi l’altra parte con un’altra pizza N’drmapp e la consegnò a Flaminio che ritornò alla Valmara senza accorgersi di nulla, quando vuotò però la bisaccia e si accorse del contenuto disse che lui non le avrebbe mai mangiate. Decise così di andare a rubare le patate a lu munticiell nei campi di quelli di Rosello, ma mentre tentava di rubare le patate, arrivò il proprietario e non riuscì quindi a prendere niente, a questo punto non avendo niente da mangiare si convinse a mangiare la pizza che venne però immersa prima nel latte. Il giorno dopo si era a mietere il grano, a mezzogiorno zà Rosetta arrivò con una spasa di pasta e ceci, eravamo io, Americo Flaminio e Pasqualino ci sedemmo per terra dove era stato steso lu musal con la pentola ed incominciammo a mangiare, un cucchiaio dietro l’altro senza neanche respirare, Pasqualino si girò per un’attimo a guardare il bosco e quando si rigirò per mangiare si accorse che la spasetta era vuota ed asclamò “ o p la madosch v’ lavet finit” e Flaminio di rimando “ Cumpà ma noi credevamo che non avessi più fame “ e così restò quasi a digiuno. Una sera dopo che le pecore erano state rimesse in un recinto, sotto Roio, alla plan d’ munn, costituito da una rete metallica, ritornai a Roio per mangiare, nel mentre i cani incominciarono ad abbaiare, ne dedussi che i lupi si fossero inseriti nel recinto, andai giù per vedere cosa fosse successo e vidi che il lupo era entrato nel recinto ed aveva ammazzato una pecora, a quel punto ritornato a casa presi il fucile ed attesi che il lupo si facesse ancora vivo, dopo un po’ infatti appari’ un’ombra, sparai senza sapere se e cosa avessi colpito, intorno infatti vi erano anche delle mule al pascolo. Il mattino successivo, ritornato a Roio, Pasqualino stava osservando la pancia della mula e diceva, “mannaggia a Cristoforo Colombo, cosa gli è successo a questa mula”, solo allora mi resi conto cosa avevo colpito durante la notte con la mia fucilata.

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