Mentem santam spontaneam
Honorem deo et patriae liberationem
xps rex venit in pace deus
Et homo factus est.Verbum caro factum est
Nicolaus de Crapracotta me fecit A.D 1566
Vecchia campana!
Guardandoti nella tua nuova sede inattiva, senza voce, coperta dalla tua patina e dalle rughe del tempo, torna nel mio ricordo l’attività della tua giovinezza, nella quale hai brillantemente assolto alla attenta guida del popolo di Roio,di cui sei e resterai la madre affettuosa, attenta e premurosa.
Circa 500 anni fa quel Nicolaus di Crapacotta realizzò nei pressi del campanile lo stampo della tua elegante figura e nella colata aggiunse alla lega di metallo e di bronzo l’oro delle fedi offerte dalle madri di Roio per ingentilirne il suono; venisti poi collocata nella tua nicchia campanaria, lanciasti la tua voce per annunciare l’assunzione del tuo ruolo di scrupolosa, attenta, precisa, allegra, afflitta, ed, al momento giusto, rabbiosa e reattiva madre di tutti i cittadini.
A quell’epoca, in cui l’orologio non esisteva, tu iniziasti ad impartire ai cittadini le regole della loro vita. All’alba non hai mai smesso di suonare la sveglia con i tuoi rintocchi del mattutino per affrettare l’avvio ai campi dei lavoratori. Più tardi le tue lente, sommesse note, chiamavano in chiesa le massaie rimaste a casa, per partecipare alla messa di ringraziamento al Signore per il nuovo giorno concesso.
Ed a mezzogiorno i tuoi rintocchi di suono a festa annunziavano ai lavoratori dei campi l’arrivo del canestro del primo pasto; ed erano in molti ad esclamare “voce santa” ed agli stessi, i tuoi rintocchi di “vent’unore” annunciavano la fine della giornata di lavoro ed essi iniziavano la lunga marcia per partecipare all’ultimo pasto del giorno.
Ricordi quanta frugalità e semplicità governavano quei pasti? Unico vassoio della minestra in cui affondavano le posate dei commensali, assenza di bicchieri ed unica fiasca del vino che veniva avviata periodicamente ai commensali dal capofamiglia cui spettava la prima bevuta. Non esisteva secondo piatto, ma una soddisfacente disponibilità di pane di grano o di granone.
E dopo il pasto la stanchezza del giorno conciliava il sonno e tu non tralasciavi, con i rintocchi dell’Ave Maria, di dare a ciascuno il tuo bacio di madre affettuosa con l’augurio della buona notte.
E non dimentico la gioia della tua voce nei giorni di festa, quando chiamavi a collaborare le tue sorelle minori ed insieme recitavate un inno la cui armonia trasmetteva ai tuoi figli un momento di felicità nel loro costante tormento di lotta per l’esistenza.
E quella stessa armonia di voci tu la recitavi in tutte le circostanze giulive, alle nascite, ai matrimoni all’avvio ed al ritorno dei pellegrini dai luoghi sacri che annualmente raggiungevano a piedi, per rinnovare le preghiere ai Santi protettori.
Ma tu, madre affettuosa, sensibile al dolore della morte, non trascuravi di parteciparvi, unendo al pianto dei parenti le lugubri note dei tuoi rintocchi cui aggregavi quelle delle consorelle per recitare l’addio agli scomparsi.
Era l’armonia della tua voce festosa e delle tue consorelle che accompagnava la processione del 2 Luglio sulla montagna, ove i robusti montanari portavano, a spalla. Le pesanti statue di S. Filippo e della Madonna.
Lo squillante scampanio durava per tutto il percorso e riprendeva, dopo la messa al campo, all’inizio del ritorno in cui la processione scendeva dal lato opposto a quello dell’andata. Nell’attraversare i campi ondeggianti del grano colorato in fase di maturazione, il sacerdote impartiva la sua benedizione e chiedeva al Signore l’allontanamento delle calamità ed alle recitazione del parroco il coro compatto del popolo recitava il ” libera nos, Domine”.
E sempre tu, attenta sentinella della sicurezza del tuo popolo, quando della radiosa giornata d’inizio estate si faceva minacciosa la nuvola scura della grandine, non esitavi a gridare al cielo l’urlo della tua indignazione e la frequenza e la potenza della tua voce dissipava la lugubre minaccia e ritornava il sereno. Allora il Signore, soddisfatto, elogiava la solerzia del tuo energico intervento.
Ed allora tu , nella notte, in cui il popolo dormiva il sonno del naturale riposo, vedevi ergersi al cielo le fiamme sinistre dell’incendio che minacciava la sua vita , lo svegliavi con l’affrettata frequenza delle tue note per gridare l’allarme al pericolo incombente. Ed il popolo accorreva tutto e dava luogo ad una condotta umana che portava l’acqua dall’unica fontana e dagli abbeveratoi agli uomini in prima linea che fronteggiavano le fiamme.
Qualcuno nella generosa lotta veniva inghiottito dal fuoco, ma il dolore della sua scomparsa non arrestava l’azione di lotta che perseverava con più rabbia fino alla vittoria
Col tuo amore di madre sei stata ancora tu a chiamare a raccolta il popolo per gettare le basi della tua solidarietà nei confronti dei più deboli e di quelli impoveriti dalle calamità.
Nacque il “Monte frumentario” che fu, per tanti anni, la banca della generosità, sempre pronta ad aiutare i figli in difficoltà.
Ricordi i giorni che precedevano le feste natalizie? Allora molti Roiesi , per integrare il modesto bilancio familiare, praticavano il commercio dell’olio. A dorso di mulo, partivano alla fine della semina in Ottobre e rientravano per le feste natalizie col gruzzolo del guadagno commerciale. Arrivavano alle mulattiere di Agnone ed il più delle volte all’imbocco della Valmara, incontravano la tormenta di neve. La “Voria” quel veloce quanto freddo vento del Nord, sollevava da terra nuvole di neve aggiungendola a quella che cadeva dal cielo. Le strade, cancellate dal manto nevoso, erano invisibili e quasi sempre la nebbia completava la triste situazione. In tale circostanza non si può tenere gli occhi aperti ed è difficoltoso respirare, la furia del vento e l’asprezza degli aghi di neve costringono a proteggere le vie respiratorie con un lembo della giacca e gli occhi con la falda del cappello; con tutto ciò è ancora necessario tenere la testa girata per attutire l’impatto con la bufera. Non esiste in tali circostanze possibilità di orientamento allora intervenivi tu, madre campana, a spandere nel frastuono della bufera il tuo urlo accorato, poderoso e continuo. Giungeva all’orecchio dei tuoi figli in difficoltà e questi lo seguivano, confortati dalla tua assistenza. Raggiungevano il paese, ti passavano davanti, ma non avevano la forza di pronunciare parole di ringraziamento che, in compenso, rimanevano stampate nel loro cuore e ti volevano bene.
Ora, vecchia madre campana, hai esaurito il tuo ruolo, non partecipi alle gioie, ai dolori, alle apprensioni del tuo popolo, ma sei sempre viva nel ricordo e nell’affetto di coloro che hanno vissuto con te; per questi è gioia grande constatare che il loro affetto è stato ereditato dai loro figli i quali hanno avuto la sensibilità di toglierti da una nicchia nascosta, per esporti nell’atrio della nostra chiesa all’affetto e all’ammirazione delle nuove generazioni che apprenderanno la tua storia e perciò continueranno a volerti bene.
Ora che sei in pensione, buon riposo, madre campana!
Filippo Di Carlo
Ricordi di Filippo Di Carlo: La vecchia campana
Roio del Sangro Agosto 2000