Pubblichiamo un racconto del nuovo libro di Mimmo Galluppi – Ihss Semm Njù – edito da Fuorilinea Scandagli di ben 244 pagine.
LA RELATIVITA’ del RAMARRO
La spada della giustizia non ha fodero. (Joseph de Maistre)
Intuiva di essere il più forte e il più bello di tutti quei miseri che si aggiravano, prede spaurite o cacciatori determinati, sul territorio che necessitava di un principe o di un re.
La Natura aveva deciso che lui era il più vocato e dotato, sia per lo splendido fisico che per la fulgida e pronta intelligenza; doni che lo tenevano all’erta per interpretare i segnali di pericolo per la sua vita o attentati per destabilizzarlo.
Ah, dimenticavo: sto parlando di un ramarro, sì, la lucertide che è un po’ più grande della lucertola e molto più piccola di un serpente.
Aveva sviluppato un fisico perfetto; curava con amore le squamette luccicanti al sole, predisposte per catturare il più flebile raggio di calore dall’inizio della giornata, quando gli insetti e gli animaletti sono ancora intirizziti dal freddo della brina e dall’umidità della notte.
Possedeva un invidiabile vantaggio competitivo che consentiva al nostro fustacchione di essere il primo, ogni mattina, a riprendere le funzioni assopite dal freddo e dal buio.
Con facilità cacciava insetti lenti e poco reattivi; faceva scorpacciate mattutine che irrobustivano il suo possente fisico.
Era il re e quindi, come tutti i regnanti, prelevava a man bassa tutto ciò che di commestibile capitasse a tiro, senza esagerati sforzi.
Quando necessario, mimetizzato alla perfezione, tendeva agguati a qualsiasi animaletto assegnato, dalla Natura, al suo menù.
Lucertole, piccoli ramarri, grilli e tutti gli insetti erano ben graditi dal suo capiente e muscoloso stomaco.
Aveva una predilezione per le api colme di nettare che addolcivano la sua vorace gola; stava ben attento a ingoiarle dalla parte della testa per evitare di essere punto.
Allorquando iniziavano a dischiudersi le piccole uova di lucertole, impazziva di gioia per quei bocconcini tenerissimi.
All’inizio della primavera, con astuzia, intercettava e interpretava i voli degli uccellini per localizzare i loro nidi e aggiornava la sua mappa del territorio e delle prede.
Con periodicità presidiava le postazioni, gli alberi, i rami e gli arbusti memorizzati, incurante delle coppie di uccelli che tentavano di distrarlo, senza successo, con la simulazione di ferite e con il loro voli radenti o disturbarlo nella ricerca delle uova appena depositate.
Indifferente agli squittii e alle beccate, si abbuffava di uova fresche e piene di sostanze necessarie alla sua sopravvivenza.
Prestava molta attenzione ai segnali di allarme degli altri animali; aveva imparato a riconoscerli e si appiattiva, invisibile, tra l’erba alta quando il segnale allertava della presenza in cielo di qualche rapace che sorvolava, con arroganza e indisturbato, il suo territorio senza potergli opporre la minima resistenza; si sentiva offeso per la violazione delle proprietà; classico esempio di lesa maestà.
Restava immobile senza alzare gli occhi al cielo; la Natura gli aveva insegnato che qualsiasi variazione sul territorio o un riflesso avrebbero attratto l’attenzione del predatore, con conseguente cattura.
Sentiva le urla delle lucertole, dei topi, dei ramarri e dei serpenti che, distratti da altri interessi, erano stati infilzati dalle unghie del mostro che li macellava già in volo per offrirli subito in pasto alla nidiata.
Lo straziavano quelle grida di dolore di corpi sfondati e squarciati da unghiate, finché il razziatore assestava il colpo di grazia, staccando, quasi per intero, la testa al malcapitato.
Altre volte la presa del predatore avveniva in zona coda o in una parte del corpo lontana dalla testa; allora le urla di dolore diventavano insopportabili poiché l’uccello, per non sbilanciare il volo in ascesa, non dava il colpo di grazia e trasportata la preda nel nido, iniziava a smembrarla, ancora viva, per selezionare prelibati bocconi.
Il nostro re intuiva che, finché i suoi sensi lo avessero assistito, non avrebbe mai fatto quella fine atroce e con questa sicumera riprendeva il suo giro di caccia, compiacendosi della sua forza e nobile bellezza.
Da vero principe, satollo e con il ventre rigonfio, concedeva la grazia a qualche suo suddito che scovava sul suo percorso.
Quelle vittime salvate gli avrebbero portato, ne era certo, oltre al dovuto rispetto, tanta riconoscenza per la sua magnanimità.
Il piccolo volpacchiotto, appena svezzato, si aggirava tra l’erba alta attratto da odori a lui ignoti; annusava a destra e a manca, incantato da ciò che i suoi occhi vedevano e il suo naso percepiva nell’aria; tutto era misterioso, inebriante e degno di attenzione.
Posò una zampa dalla pianta morbida e pelosa su un bellissimo animale, verde e muscoloso, che sotto questa pressione si dimenava appiattito sul terreno, e le quattro zampe remavano freneticamente senza riuscire a liberarlo da quel peso enorme.
IL volpacchiotto, un po’ divertito e forse per gioco, avvicinò il muso sul ramarro e percepì un buon odore di cibo.
Con un morso leggero gli staccò la testa, la mangiò e capì che poteva continuare il tenero pasto, il primo della sua vita.
Si divertì al movimento ondulatorio della coda che, prima di essere divorata, continuava a fargli solletico sul tartufo umido.
Memorizzò quegli odori e quei sapori, buoni non come il latte di poppata che ultimamente la madre gli negava, ma comunque da riprovare presto, appena la fame si fosse fatta sentire di nuovo.
Poi, senza generare alcun rumore, si accucciò sotto un cespuglio per proteggersi dalla acuta vista dei grandi e famelici rapaci; restò immobile, in attesa dell’imperioso e silente richiamo della madre.
Il sole illuminò gli ultimi intensi minuti del giorno e si ritirò lento e imponente, dietro i monti, a conclusione di una estenuante giornata.
Spuntano le stelle
ad una ad una come bianchi fiori
nell’oscuro giardino della notte.
(Corrado Govoni)
La Natura si divertì a giocare con la pareidolia; una grande nuvola rossastra e bianca si sollevò dalla umida pianura; salì verso il cielo e accarezzò sinuosa, con la voluttà felina di una gatta alla ricerca di coccole, i fianchi della collina lussureggiante.
Prese le fattezze di un mostruoso tacchino preistorico; si accovacciò e poi si rizzò sulle gambe; prima di involarsi verso il cielo depose, in una profonda insenatura posta tra due colline, un gigantesco uovo bianco e diafano: la luna, con la sua luce anemica, senza ombre; maestosa e algida illuminò il fiume, i prati, i boschi e la pianura.
La Natura, ligia alle sue eterne leggi, dispose acché tutti gli esseri diurni, assonnati e sfiniti, si rintanassero e le piante iniziassero i loro processi depurativi.
Gli animali notturni, in virtù delle stesse leggi del Creato, iniziarono una nuova notte: preda e cacciatore.
Nessuno notò l’assenza del re, né in quel giorno né in quelli a venire.
Sagace come di consueto,grazie Mimmo per il Tuo allietare, con arguzia ed intelligenza, le nostre letture.
Caro Emidio (non so che Emidio sei; ne conosco tre), Solo ora leggo il tuo solitario commento e mi affretto a risponderti, un po’ impreparato a causa dell’inatteso intervento: ben 326 persone hanno aperto questa pagina ma nessuno ha ritenuto di dare un segno di diniego, assenso, consenso. Ti ringrazio per le parole che, mi sembrano, dei complimenti. Purtroppo nessuna di loro può allietare la mia mia inutile vita. Infatti i loro significati non fanno parte del mio patrimonio genetico; sono e rimango un povero ignorante che cerca di dare un senso alle cose che non ha fatto e alle parole che non ha detto; per farlo scrivo, male lo so, ma scrivo, non riesco a esprimermi che scrivendo. Per essere precisi vorrei analizzare insieme a chi ci legge i significati dei meriti che indegnamente mi accrediti: Sagace: accorto, perspicace, pronto e acuto nell’intuire e nel valutare i varî elementi di una situazione, nel cogliere l’essenza di qualche cosa. Arguzia: prontezza, sottigliezza d’ingegno, vivacità nel parlare e nello scrivere. Intelligenza: non ancora si riesce a darle una definizione precisa ed univoca; l’intelligenza è identificabile come la capacità di un individuo di affrontare e risolvere con successo e risparmio (di risorse) situazioni e problemi nuovi o sconosciuti, adattandosi all’ambiente. Grazie comunque per le parole di stima. Mimmo